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408 della chiesa cattedrale di benevento

della Greca, non solo le tre navi sieno state prolungate, ma benanche restaurate nella porzione dell’epoca di Sicone. La struttura murale tanto delle prime che delle seconde è simigliante, a corsi alternati di alti tufi e di mattoni (Tav. LVII, lettere f e h); ma questo fu un genere di muratura che cominciò in Benevento sotto i longobardi e fu mantenuto sino al XIII° secolo, e forse anche sino al XIV.°

Non faccia meraviglia che Sicone abbia adottata la forma a croce latina con tre navi divise da colonnati aventi gli archi impostati direttamente sulle colonne, la qual forma ebbero le basiliche del secondo periodo, imperocchè nei paesi come Benevento, rimasti cattolici ortodossi l’elemento latino trasportò le sue tradizioni fin nel medio evo proprio con questa forma1.

Nella rappresentazione icnografica a croce latina con tre navi (Tav. LV) ho omesso l’atrio che per due lati si congiungeva al tempio, siccome in quasi tutte le antiche basiliche. Che vi sia stato l’atrio dinanzi è dimostrato non solo dalla tradizione non mai interrotta, ma ben anche dal fatto che le sepolture che esistevano nel mezzo di esso furono distrutte appena da pochi anni, quando con niuno accorgimento si demolì il recinto che precedeva la Cattedrale, per sostituirvi la sconcia ed incomoda scala che vi è al presente. Sotto i portici di quest’atrio esistettero le tombe di alcuni principi e principesse longobardi, e ne fu fatto scempio allorchè fu costruita la facciata attuale, della quale entrarono a far parte i materiali ad esse strappati, non escluse le iscrizioni epigrafiche che tuttora vi si vedono. Queste, descritte da Pellegrini, si appartengono a Sicone IV° il munificente e pio Principe del quale abbiamo discorso, a Radelchi, a Caretrude moglie di lui e madre di Aione Vescovo di Benevento, ad Urso figlio di Radelchi II°.

Chi fu l’artefice o l’autore della facciata attuale? Sul fronte dell’architrave della porta sinistra si legge:

Haec studio sculpsit Rogerius, et bene iunxit
Marmora, quae portis tribus cernuntur in istis,
Et quae per purum spectantur lucida murum.

  1. Selvatico (continuazione al) op. cit. parte II. lib. IV. pag. 442.