Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
342 | del teatro antico |
Rossi, tra i pochi, nella sua bell’opera sull’Arco Traiano, toccando per incidente di questo teatro, seppe splendidamente confutare De Vita. Non devo privare il lettore delle parole di lui: »il superbo teatro sostenuto da portici amplii e maestosi, il quale serba ancor le vestigia delle soprapposte volte, delle scalinate, dei ripiani o precinsioni, dei corridori o vomitorii, delle scalette e nicchie corrispondenti, non che del luogo dell’orchestra, sedili e portici superiori; e non l’anfiteatro colle cavee partim ad cloacarum usum, partim ad receptum et custodiam ferarum immaginato dal De Vita; poichè, oltre all’essere ignoto agli antichi un tale anfiteatro lapideo in Benevento, ed all’essere le cavee anche proprie dei teatri, come in occasione di quel di Nicea ci fa saper Plinio: huic theatro… multa debentur, ut basilicae circa, ut porticus supra caveam; il niun vestigio di figura ovale riserbata per gli anfiteatri, ma l’emisferica propria dei teatri, l’ampiezza delle volte interiori, la libertà dell’ingresso e dell’uscita non impedita da traccia alcuna di ferrata o cancelli, la libera comunicazione dei portici niente applicabile alla custodia e separazione delle fiere diverse, il seliciato delle vie, l’entrata, le basi e le colonne marmoree della semicircolare facciata orientale, lo fan toccar con mano per vero teatro coi suoi portici da mettervisi gli spettatori al coperto delle piogge grandi ed improvvise, i quali sono uno dei tre essenziali pezzi dell’antico teatro, sebbene nel nostro pro maxima parte superiecta humo iacent consepulta1.»
»Ma una tale opinione, dice Isernia, riferendosi ad un parere di Garrucci, uniforme a questo di Rossi, non è stata mai avvalorata da oculari osservazioni o da qualche pianta dell’edifizio fatta levare in altri tempi da coloro che erano al governo della città, o da privati cittadini studiosi di cose patrie2». Io ho appagato il desiderio dell’amico, avendo fatta elevare con non lieve fatica e dispendio la pianta che qui dono al lettore (Tav. XLVI), e sulla quale ci intratterremo nel seguente paragrafo.
Non devo omettere di spiegare la etimologia del nome Grottoni di Mappa che ha accompagnato un lungo periodo di tempo