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via appia—ponte leproso 277

ben poca utilità per un criterio esatto; per la qual cosa vi aggiungo le Tav. XL e XLI, frutto di miei pazienti studii del monumento e di scavi praticativi per mio conto.

Occorre un poco di pazienza da parte del lettore a seguirmi in una descrizione lunga, e noiosa forse, ma non per tanto molto necessaria.

Al presente il ponte ha in azione le quattro arcate 1, 3, 5, 7 (Tav. XL.); la prima a sbieco di luce m. 5.35, la seconda e terza di m. 8.30 e la quarta di m. 8.36. La prima luce è l’ultima in ordine storico, e fu aperta nel posto dei muri di accompagnamento della sponda sinistra. Oggi due muri d’ala, sopra e sotto corrente, in linea del ciglione della campagna, fiancheggiano l’attuale spalla sinistra, la quale anticamente doveva esser rappresentata invece dalla grossa pila della lunghezza di m. 13.50 sopra corrente, avendo questa più lo aspetto di una robusta testata che di una pila. Anzi io stimo che nel suo interno debbansi contenere i vestigii della testata romana.

Le arcate 3, 5 e 7, come meglio vedremo in seguito, tengono luogo delle antiche prima, seconda e terza con le differenze di luce rappresentate dagli spostamenti delle pile 4 e 6 e dal regresso a sinistra della pila 2 secondo le linee punteggiate, mentre le linee tratteggiate rappresentano la icnografia presente.

La pila 8, l’unica delle antiche che sia rimasta quasi intatta, oggi fa da testata destra; ma nell’epoca romana seguivano ad essa, divise dalla pila 11, altre due arcate, 9 + 10 e 12 + 13, a completare le cinque di cui si componeva il ponte. In seguito della cennata concessione fatta da Landolfo VI a Dacomario, essendosi addossati i mulini al ponte, con opere di arginazione e con piantagioni furono allontanate le acque dalla sponda destra, e costrette a fluire nell’angusto e deforme letto che vedesi raffigurato nella planimetria (Tav. XL). Ebbero da ciò origine la erosione incessante della sponda sinistra ed il bisogno della costruzione della arcata numero 1. Così il pioppeto olim Pacca1 ed il canale di

  1. Mi esprimerò sempre così, perchè per secoli il mulino a valle del ponte fu posseduto dalla famiglia dei Marchesi Pacca sino a pochi anni sono, allorchè essi lo venderono al Sig. Federico Capone. Ora è passato ad Achille Ventura.