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l’ascensione e nel collocamento a sito, per quanto gravi e squisite cautele si fossero volute adoperare.

Nei siti dove adesso manca o è scheggiato qualche pezzo di marmo si può osservare la esattezza dello spianamento nelle facce dei giunti. Allorchè il monumento era integro, io credo riusciva impossibile distinguere questi e le loro commessure, tanta era la squisitezza del magistero; al quale il nostro Arco deve la fortuna della sua conservazione attraverso circa diciotto secoli; laddove, altrimenti, le acque congelate e le radici delle erbe parietarie, facendo leva lentamente nelle commessure, ne avrebbero prodotta la ruina in un tempo relativamente breve, così come succede di tante opere moderne.

Il lettore, che è stato cortese e paziente di accompagnarmi sino a questo punto nell’analisi del nostro Arco, ha potuto formarsene un concetto più giusto, che non lo abbia avuto pel passato, sebbene la mia penna sia stata impari alla sublimità del soggetto. Io spero però che questo mio lavoro spinga altri, più competenti e provvisti di altri mezzi che io non abbia avuti, a studiare questa stupenda opera d’arte, degna essa sola della più dotta e splendida illustrazione; che inciti gli artisti, d’Italia segnatamente, e gli amatori delle belle arti a spendervi di proposito una visita, oggi che le ferrovie hanno tolta la difficoltà addotta da Quatremére de Quincy1. E sebbene Guadagnoli2 abbia sentenziato che

Noi ci abbiam fatto l’occhio e non ci pare;
Ma per un forestiere, è cosa certa,
La prima volta che lo va a mirare,
Bisogna che rimanga a bocca aperta;

io consiglio i miei concittadini a smentire l’assertiva di Wey3, e li incito non solo a guardare, ma a studiare accuratamente, più che io abbia potuto, questo prezioso monumento, splendido retaggio di quel Senato e di quel popolo romano, il cui senno, le cui

  1. Pag. 11 di quest’opera.
  2. Poesie Giocose di Antonio Guadagnoli, Il Campanile di Pisa.
  3. Pag. 12 di quest’opera.