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coincidenza una chiave per ispiegar meglio gli avvenimenti scolpiti in questi tre quadri. E (cosa assai curiosa, se non strana addirittura) nientedimeno Rossi1 prende questa figura per quella di una femmina, e arriva a supporre che sia Plotina! Oh il preconcetto! Si scusa con le erosioni del marmo; ma dove sono esse e così gravi in questa figura da nasconderne il sesso?

Alle spalle di Traiano, sul margine del quadro, notasi un littore con i soliti fasci, la solita tunica e la consueta chlamys frangiata, allacciata sul petto con ricca fibbia a disco cilindrico raggiato a otto rami con altro dischetto nel centro. Ha corta e riccia barba, capelli crespi. Con la sinistra regge i soliti fasci laureati, e nella destra mano porta qualche cosa che oggi non più ben si ravvisa. Bella è la sua testa, stupenda la mano destra, la cui notomia è scolpita con sommo magistero.

Molti altri romani, recanti gli stessi fasci laureati, e alla foggia solita vestiti, vedonsi scolpiti sul di dietro e sul fondo del marmo, verso la sinistra. Sul piano men rilevato del quadro, dietro e sul capo dei quattro stranieri, è scolpita una pianta di quercia, di bellissima fattura, i cui rami portano a volta la ghianda, a volta la sola cupola vuota, senza la prima. Anche questo è un doppio simbolo, cioè che la scena si svolge in campagna e nella stagione di autunno, allorchè le ghiande cominciano a cadere.

Ora è tempo di venire alla spiegazione del soggetto. Rossi ha fatto anche questa volta un po’ di poesia, giacchè egli intitola questo quadro «L’Armenia ridotta in provincia», e più propriamente ritiene che esso rappresenti il celebre incontro, tramandatoci da Dione2, di Partamasire con Traiano. È a considerare diverse cose. Partamasire, fratello di Cosdroe, si era messo in possesso dell’Armenia col favore dei Parti, di cui era re lo stesso Cosdroe, non curante del diritto che spettava a Roma di conceder la corona o di dare il suo assentimento. Ciò indispose Traiano, che mosse tosto verso l’oriente per punirli tutti. Era egli appena arrivato in Atene, e già quei Principi, a placarne l’ira, gli avevano spediti messaggi e regali.

  1. Op. cit. cap. 1144 e 1145.
  2. Sifilino, op. cit. nella vita di Traiano. Muratori, Annali d’Italia, edizione cit. vol. 1. pag. 420 e seg.