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tità d’acqua, che con immensa spesa erasi radunata col mezzo delle sorgenti sparse quà e là nei luoghi che nomineremo qui appresso. Il gran Pontefice Paolo V. Borghese compassionando la perdita di un opera così rispettabile ( che l ’ andar del tempo avea non poco contribuito alla sua rovina, non ostante la cura che data si erano gli antecessori di lui, cioè Simmaco, Onorio I, Adriano I, Leone III, Gregorio IV. e Niccolò I. di risarcire in qualche modo le rotture che in tale Acquedotto esistevano ) e bramoso di conservare a beneficio della capitale un acqua così rispettabile per la salubrità delle pure e limpide sue fonti, e forse anche preferibile a quella di Trevi si accinse con tutta la premura a farne eseguire il totale ristauro, che fa terminato circa l’anno 1610. Fu questa infatti un impresa degna di quel gran Pontefice e dell’animo Borghese, poichè l’Acquedotto Trajano trascurato in tal guisa avea talmente sofferto in tutta la sua estensione che le sorgenti passando dalle spesse e larghe fessure cagionate dalle radici di grossi alberi che loro stavano sopra o vicini, deviavano quasi tutte dalla grande forma, per cui la massa dell’acqua non era più quella, che in origine erasi con tanta spesa e travaglio introdotta. Altro che un génio cosi elevato era capace di restituirlo al primiero suo stato, e renderlo anche se non più maestoso, più ricco certamente ed abbondante di acqua con aver fatto costruire nuovi bracci per quelle sorgenti, che non erano state forse conosciute nel tempo in cui ebbe l’origine. Ma se le mire di questo Pontefice furono quelle di conservar sempre pure le acque Trajane a beneficio di Roma, non fu però tale lo scopo del suo successore Clemente X, il quale poco forse curando la salubrità delle medesime per essere la Dominante sufficientemente provveduta di Acque pure e potabili, e bramando piuttosto di aumentarne il volume, perchè meglio operassero gli opificii sul Gianicolo, e le mole, combinò per mezzo di pubblico Istrumento col Duca Flavio Orsini il quantitativo di 1100 once di acqua di questo lago, che fece introdurre l’anno 1675 nell’Acquedotto, mediante l’erezione di un argine a muro all’imboccatura dell’antico emissario Arrone, affinchè le acque, che dovevano quindi introdursi avessero un giusto declivio (1). Quest’argine però formato con tre bocchette aperte livellate in modo per regolare la quantità perenne dell’acqua dentro la forma Paola avendo prodotta una notabile elevazione nelle acque stesse del lago, oltre un sommo discapito alla salubrità di quelle che giungono pure sino a quel punto, ben tosto i circostanti terreni furono inonda-

(1 ) Il volume di quest’acqua fu in progresso aumentato al numero di 3000 once circa, ma la lunga siccità degli anni scorsi diminuì non poco il detto volume, quale però in oggi pare voglia tornare alla stessa quantità per le abbondanti piogge che hanno accresciuto e alzato il lago di circa tre palmi.