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abitanti del medesimo avessero tutti i loro beni in feudo dal monastero, nè potessero alienarli o disporne per testamento senza la sua licenza. Ma avendo avute la sentenza contraria dal vicario; se ne appellò al Sommo Pontefice, dal quale venne rimessa la causa ai Preposti di santa Tecla e di san Giorgio di Milano, ed a quello di Vimercate1. Quale ne sia stato l'esito non sì sa; ciò che è certo si è, che i posteriori documenti convincono che gli Aronesi disponevano liberamente dei loro beni; che la terra di Arona in quei tempi fosse soggetta al monastero, se lo ricava da tante fonti, come vedremo anche sotto l’abbate Martino da Bovirago nel 1519; ma che l’autorità sua fosse da tanto da poter interdìre ai terrieri la disponibilità dei loro averi, mi pare troppo ardita pretesa, ed anche superiore ai diritti feudali: onde sono d’avviso, che il risultato dell’appellazione non sia stato favorevole per il monastero.

Morì Guglielmo verso l’anno 1515, e gli successe Martino da Bovirago, il quale continuò ad esercire una ampia podestà feudale. Abbiamo, sotto il di lui comando un celebre documento, che è mestieri riportarlo per intiero non tanto per la singolarità del suo contenuto, quanto per poter fare un confronto che verrà necessario nel trattare delle leggi municipali di Arona. Mi emancipo, è vero, dalla promessa brevità; ma il farlo diviene qui cosa necessaria. Ecco la pergamena: «In nomine Domini amen. Anno a Nativitate ejusdem mcccxix, indictione secunda, die Martis secundo januarii, in claustro monasterii sancti Gratiniani de Arona coram Reverendo Viro Domino D. Martino

  1. Il P. Zaccaria a pag. 158, ed il conte Giulini tom. VII, pag. 483.