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38 memorie storiche di arona

trova poco distante della prima, e nel fondo vicino alla detta massarìa verso tramontana. Formato appunto in quest’anno l’alveo della reggia de’ molini, diede diritto al detto Enrico Basso di tenere due bocche sul medesimo per contro al nominato suo fondo detto il monastero, il quale in allora non aveva ancora questa denominazione, nè era cinto da muri come lo è al presente. Fece quindi costrurre i molini nella valle tra Oleggio Castello e questo territorio; uno ne fabbricò al luogo detto la Ferrera, poco lontano dal paese; un altro direttamente sotto la rocca, dove attualmente esiste il così detto Baluardo, stato poi levato in occasione che nel 1645 si è costrutto il baluardo medesimo; ed altri tre ne eresse in Arona, i quali portarono poi il nome di molini di cima, di mezzo, e di fondo, giusta la loro veridica posizione.

È da riflettersi specialmente oltre la feudale, la podestà coattiva, che in questi tempi esercitava il monastero. Alli otto di luglio del 1211 l’abbate Ariberto fece arrestare un certo Ottobello, che aveva commesso un furto a pregiudicio di certi Gregorio ed Alberto fratelli Riva di Arona, e si compose il danno in venti soldi imperiali di quel tempo1,

  1. «Il soldo anticamente era una moneta d’oro effettiva, e valeva poco meno di un zecchino di Milano, ma poi divenne moneta ideale, e riceveva maggiore o minor prezzo, secondo l’uso delle nazioni. Nell’anno 850 il soldo era una moneta d’argento composta di 12 danari, e 240 di questi formavano la libbra, ora chiamata lira, E siccome venti danari formavano un’oncia d’argento, corrispondente a 10 paoli, così un soldo conteneva 12 vigesime parti di un’oncia d’argento, corrispondenti a 6 paoli. Il valore dell’oro in quei tempi stava in ragione di 12 volte quello dell’argento. Il valore dell’argento de’ tempi antichi in paragone de’ nostri è come dall’uno al dodici in circa, e perciò la differenza che passa tra un danaro di Milano d’oggidì, ed un denaro antico è circa come dall’uno al 1080. Lo stesso dicasi pure del soldo e della lira.» Giulini, tom. I, peg. 268, anno 587.