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Si fecero delle prove se si dilatassero le fessure dell’angolo d’onde si staccava dal bastione di mezzanotte, ma si andò sempre temporeggiando nel prendere efficaci provvedimenti. Verso la fine di novembre del 1839 si mise a piovere dirottamente pel corso di quattro o cinque giorni. La copia d’acque infiltratasi tra la terra ed il muro di cui si tratta, ne accelerò la rovina.

All’una e mezza del mattino del 1° dicembre s’udì un fragore spaventoso che annunziò la rovina dell’enorme muraglia, le case sottostanti furono sepolte sotto immense macerie che ingombrarono la sottoposta contrada sino all’altezza di quattro o cinque metri. Nove persone vi perdettero la vita, e l’ultimo cadavere che se ne estrasse dopo sette giorni d’indefesso lavoro fu quello d’una robusta giovine in età d’anni 23.

Si ricorda con senso di compassione la disgraziata sorte di due virtuosi coniugi, Cocca e Ferro, i quali scossi al fragor delle rovine fuggirono precipitosi dalla piccola loro casa in cui sarebbero stati salvi, e nel mentre che col lume stavano cercando in mezzo alla contrada alcune monete che loro caddero dalle mani trovarono ivi la loro tomba.

Questi sono i nomi dei nove sgraziati sepolti sotto le rovine.

Francesco Francolino da Ceva fabbro ferraio in età d’anni 33.
Maddalena Barisone, nata Piovano d’anni 52.
Cocca Gioanni Batt. da Ceva d’anni 59.
Maddalena Cocca, nata Ferro da Ceva d’anni 46.
Andrea Sismondi tessitore d’Igliano d’anni 40.
Veglia Giuseppe giornaliere da Ceva d’anni 22.
Giuseppe Rossio da Ceva d’anni 11.
Giuseppe Gazzola da Mondovì mastro da muro d’anni 28.
Cristina Tallone da Ceva d’anni 23.

Nel mentre cadevano in rovina le case oppresse dal bastione, certo Filippo Pennacino fu Clemente di Ceva, alle grida disperate d’una ragazza che stava per essere colta