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Poscia andando più oltre incitatisi tra loro ne’ borghi della Città da due parti penetrando, fatto preda ed uccisione dall’uno e dall’altro lato vi accesero il fuoco.»

(Bembo istoria Veneta lib. 3.°)

Un’altra peste più terribile assai si fu quella che funestò si può dir tutto il Piemonte sul principio del 1600. Basti il dire che Ceva dovette soggiacere a questo tremendo flagello dal 1615, sino al 1634, la città e le circostanti campagne presero l’aspetto di un deserto, e d’un vasto cimitero. Alla costa dei Poggi si fece un testamento dagli appestati in cui si legarono molti fondi rustici per servire di stipendio ad un maestro di scuola.

Dopo la rivoluzione di Francia per la moltitudine della soldatesca che venne a stanziarsi in Ceva e nella fortezza si svegliarono mortali epidemie. Nel 1794 il numero dei decessi ascese a 286 (la media delle mortalità di Ceva calcolata su di un decennio non oltrepassa i 110), nel 1795 a 262 e nel 1800 a 614.

Nel 1835 venne Ceva funestata dal cholera morbus. Questo tremendo flagello ebbe origine dall’Indostan nel 1817. Serpeggiò per l’Europa settentrionale, si dilatò per la Francia, invase la città di Nizza e quindi Cuneo, e nel mese d’agosto dell’anno suddetto si manifestò alla filanda del signor Siccardi e ne fu prima vittima una povera donna proveniente da Cuneo. Si presero tutte le necessarie precauzioni per circoscrivere la maligna influenza di questo morbo micidiale, e per buona sorte il decesso di veri colerosi si limitò al n. di 24. La durata di quest’epidemia si restrinse a due settimane, e sarebbe stato un gran male per Ceva se si fosse protratta a più lungo tempo. Perocchè morirono di colera il padre Cappuccino inserviente del Lazzaretto nel fior dell’età, il capo infermiere, sua moglie, e sua figlia, e lo stesso becchino, il quale colpito dal morbo nello stesso cimitero mentre preparava delle fosse alle due pomeridiane del 28 agosto, morì alle 5 dello stesso giorno nel Lazzaretto.