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esercitò il mestiere di legnaiuolo, ed Adelasia di ricamatrice onde guadagnarsi il pane.

Ivi ad alcuni anni vennero infestati dai Saraceni i paesi di Liguria e fortificatisi in Frassinetto spargevano il terrore e le rapine per tutto il Piemonte, minacciando d’invadere tutta l’Italia.

Fu chiamato ad opporsi al minacciato terrore l’Imperatore Ottone, il quale alla testa di poderoso esercito calò in Italia e s’avviò verso la Liguria dove maggiormente imperversava la ferocia dei Saraceni.

Il romito Igildo supplicò ed ottenne di servire nell’armata d’Ottone in qualità di Cappellano.

Adelasia che già era madre di parecchi figli, al sentir la calata di suo Padre in Italia concertò con Aleramo in cui si ravvivò l’antico spirito marziale, di cingere d’elmo e di spada il suo primogenito Arrigo, e di spedirlo sotto le insegne imperiali.

All’indomani il giovine Arrigo (così chiamato dal Giuria), benedetto dai parenti, superbo della spada di suo padre, colla nobile confidenza della giovinezza, s’avviava all’esercito d’Ottone, per domandargli ciò che l’esercito accorda sempre ai generosi, asilo e gloria.

Non tardarono ad incontrarsi le schiere Imperiali colle orde barbariche dei Saraceni. Seguì una sanguinosa battaglia che si protrasse a notte avanzata. Il buon romito Igildo scorre il campo a dar soccorso ai moribondi guerrieri. Il lume della sua lanterna s’abbatte in un pallido volto d’aria nobile e gentile che tutti ne copiava i lineamenti d’Adelasia. Era Arrigo che frenava a stento l’impeto del sangue che gli sgorgava dalla ferita che riportò nella mischia, facendo prodigi di valore. Ne prese Igildo cura particolare, ed ebbe campo ad accertarsi essere questi figlio di Aleramo e di Adelasia, e si fece indicare il soggiorno dei suoi genitori. S’incaricò Igildo di farlo conoscere all’Imperatore, il quale fuori di sé per l’immensa gioia che provò nel sentir