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8° la chiesa di Noce grossa; 9° la chiesa di Cella nova; 10. la chiesa di S. Pietro in gradu; 11. la Pieve di S. Maria in Cornaletto; 12 la Pieve de Doliano; 13 la Pieve di S. Giovanni di Monforte; 14; la pieve di S. Pietro de Insula con due chiese; 15. la chiesa di S. Sisto di Calossio; 16. la chiesa di S. Stefano colle decime; 17. la chiesa di S. Maria de Fornellis, con tutti i suoi redditi e possessioni; 18. la Pieve di S. Pietro di Moncalvo con tre cappelle; 19. la chiesa di S. Giuliano d’Alba; 20. la chiesa di S. Maria de Spinettis; 21. la chiesa di S. Saturnino di Savona; 22 la chiesa di S. Michele di Alpesella; 23. la chiesa di S. Maria d’Alessandria, e quella di S. Maurizio nello stesso luogo con tutte le sue possessioni; 24 finalmente l’ospedale di S. Spirito d’Alba con quanto gli apparteneva: «Cum omnibus praedictarum ecclesiarum, villarum, et plebarum possessionibus et pertinentiis, sicut ea iuste ac pacifice possidetis, etc.» (Bui. Inn. IX). Un prezioso monumento d’antichità di questa celebre Abazìa si scoperse nella celebre lapide già descritta da Francesco Sansovino nel 1500, ed illustrata dall’abate Sclavo di Lesegno il quale ne fornì oggetto di ben estesa, elaborata ed erudita dissertazione, che pubblicò in Mondovì nel 1790, coi tipi di Gius. Andrea Rossi.

Questa lapide scritta con bizzarro intreccio di carattere è del tenore seguente:

Hac recubant fossa matris venerabilis ossa
Cuius erat patulum vita boni speculum
Haec Pictavorum comitum stirps nobiliorum
Pulchra fuit specie nurus Adalasiae
Defunctoque viro multo post ordine miro
Mundum deseruit bicque sepulta fuit.


Vale a dire

Riposano in questa fossa l’ossa d’una venerabil Madre, la di cui vita era specchio a tutti, palese di buoni costumi. Fu questa di stirpe dei nobili conti di Poitou, avvenente d’aspetto,