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Nell’istessa sera alle ore due di notte, l’avvocato Gedeone Muzio ed il sarto Dante, scortati dall’ufficiale aiutante Orgeans ed un picchetto di soldati repubblicani, si portarono alla di lui casa. Entrati, gl’intimarono l’arresto dicendo che era giunto il tempo in cui doveva render conto delle corrispondenze coi ministri del Re tiranno, e di subire la pena della sua fellonia.

Sigillarono tutte le sue carte, e gl’intimarono di seguirlo. Fu condotto al corpo di guardia, ed all’indomani mentre pioveva dirottamente fu condotto nel forte. Fu chiuso in una oscura prigione; per grazia gli fu concesso un materasso per coricarvisi; ma non poteva nella notte prender alcun riposo pel freddo eccessivo, per la gran quantità di topi che il molestavano, e per l’affanno che gli cagionava l’afflizione in cui lasciò la sua consorte.

Si postò una sentinella alla sua porta di casa per custodire quanto in essa si trovava, e i Giacobini per atterrir la sua moglie, e per estorquere del denaro facevano correr voce che sarebbe stato fucillato.

L’avvocato Muzio si portò nella fortezza, chiamò i prigionieri nella camera del tenente d’artiglieria e loro disse, che sarebbero ancor restati nel forte per pochi giorni a titolo d’ostaggio e quindi posti in libertà, quindi rivolto a Sito, disse che la sua libertà avrebbe dipenduto dall’indennizzazione che avrebbe fatta a chi di ragione, e che vi pensasse.

La consorte del signor Sito quantunque dotata di coraggio e di animo forte, dovette ciò non ostante sopportar gravi vessazioni, e le imposizioni di cui fu fatta segno tra denari e roba, ascesero all’ingente somma di 8 mila lire.

Pei buoni uffizi praticati dai suoi amici, e dietro giurate deposizioni di onesti cittadini, il comandante Goyneau lasciò andar libero il signor Sito, e colla seguente lettera ne diede avviso al Municipio che ne aveva decretato l’arresto.