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Un’opera a corno sull’orlo della scarpa presso la città, raddoppiava i tiri verso il prolungamento del giogo: due monticelli Faia e Baglione, ed altre prominenze dietro dei medesimi, signoreggiavano il forte a gittata di cannone, ed in tempo di guerra se non si munivano di forti trincee quei ciglioni, vedevasi il forte isolato, e ridotto ad una precaria difesa.
Si pretende da alcuni che le opere di fortificazioni di questa prominenza si deggiano attribuire a Gian Francesco Gonzaga II, che comandava in Italia sul fine del secolo XV le truppe di Carlo V imperatore, del Papa, e dei Veneziani contro Carlo VIII.
Il professore Casalis nel suo dizionario geografico, così si esprime all’art. Ceva:
«L’antico forte di Ceva era stato ricostrutto secondo le regole della nuova fortificazione dal duca Emmanuele Filiberto, per fare scudo ai confini che signoreggiavano la Liguria.»
Questa nuova ricostruzione si intraprese dal duca Emmanuele Filiberto nel 1560, e fu condotta a termine da Carlo Emmanuele II morto nel 1675. Anzi nella biografia di quest’ultimo stampatasi dal Ferrero di Lavriano nell’albero gentilizio di casa Savoia si leggono queste precise parole: «Vectigalibus temperatis, aerario difficillimis effuso temporibus restituto et aucto: Vercellis aggere, fossa optime instruxit: Verrucae, Cevae a fundamentis munimine excitato... Diem clausit Taurini die 12 iunii anno 1675, sepultusque in fano D. Ioannis.» Col che si attribuisce a questo duca, l’erezione del forte più che ad Emmanuele Filiberto.
Fu questo forte esposto a lunghi assedii ed a vigorosi attacchi di agguerrite falangi, e son memorandi i fatti d’armi che il resero celebre.
Nel 1638 gli Spagnuoli in numero di 13 mila, sotto il comando del generale Caracena lo strinsero d’ostinato assedio, ma dovettero rinunziare all’ardua impresa, e con disonore allontanarsi da questa piazza.