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loro precettore, dal conte Sauli Senatore del Regno, dal marchese Luigi Pallavicini vice sindaco di Ceva, e dall’arciprete Giovanni Olivero scrittor di queste memorie.

È tradizione, che prima che si fabbricasse la fortezza vi fosse su quella rocca un borgo cospicuo di Ceva, e questa tradizione si conferma da una lapide marmorea già avanti citata che si scoperse nella demolizione dei baluardi attigui alla Madonna della Guardia, su cui si legge in cattivi versi latini che nel 1489 vi fu colà un giubileo concesso dal papa Innocenzo mentre era ministro di quella chiesa (come si deve supporre) padre Garrassino. Si vedono scolpite su questa lapide due armi gentilizie dei Calagrano, e vi si leggono i nomi di Gerolamo e di Guglielmino de Calagranis1.


     Annis. millenis quatricentis. octo. qe. genis
     Trinacliis. qe. tribus sanctus fuit hic jubileus
     A pœna et culpa te dante in Papa Nocenti
     Arma suprema Pape destris stat arma Hieromi
     Sunt Guglielmini que sunt a parte sinistra
     De Callagranis quos lungum ducat in evum
     Minister templi factus frater Garrassinus.


Questa lapide è attualmente posseduta dal signor Biagio Garrassino, uno dei principali cittadini di Ceva.

Nel 1825, ricordevoli alcuni membri del Capitolo che questa chiesa era al possesso di stabili e di preziosi arredi sacri rassegnarono alla maestà di Carlo Felice Re di Sardegna la supplica seguente che si riporta in disteso potendosi considerare come un istorico documento.


  1. Più sopra parlando di Mons. Calagrano Vescovo di Mondovì si portò quest’iscrizione come sembra doversi leggere, e come l’interpretò il mio dotto e gentile amico Cav. ed Avv. Celestino Combetti, Segretario agli Archivi generali del Regno, qui poi si riferisce come si legge ancora. (A. B.)