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Visitò quindi il cimitero attiguo alla collegiata che trovò aperto e senza croce nel mezzo, e gli fu fatto presente che ben sovente i cadaveri venivano dissotterrati da bestie: Humana corpora sæpius ab animalibus dehumata. Decretò per conseguenza che fosse tosto munito della necessaria cinta a spese della Comune sotto pena di cento scudi, e della scomunica in subsidium.

A complemento di questa visita congregò il Capitolo che era composto dei seguenti individui:

L’Ill. Sig Roberto dei marchesi di Ceva, arciprete con un reddito annuo di cento ottanta scudi d’oro.

Il Rev. D. Antonio Giogia, primo canonico col reddito di cento scudi d’oro.

Il Rev. D. Giovanni Rizio, secondo canonico col reddito di cinquanta scudi d’oro.

Il Rev. D. Bernardino Rossi (Rubeus) terzo canonico col reddito di 40 scudi d’oro.

Il Rev. D. Gasparo Chiavelli, quarto canonico col reddito di 60 scudi d’oro.

Il Rev. D. Gerolamo Barberis, dottore d’ambe leggi e vicario foraneo col reddito di 60 scudi d’oro.

Erasi eretto un sesto canonicato, ma per essere composto di Cappellanie di Patronato laicale, non vollero i patroni rinunziare ai loro diritti sulle medesime, e quest’erezione non ebbe alcun effetto.

Si faceva allora l’intiera officiatura, e si faceva colle decime una massa per le distribuzioni; ma non si sa per quanto tempo abbia durato. La messa conventuale e quella festiva si cantavano per turnum.

La sacrestia non aveva alcun reddito, ed il vescovo visitatore vi applicò i redditi della cappella di S. Giovanni in Laterano che era stata distrutta dall’inondazione.

Stabilì capo del Capitolo l’arciprete a cui dovevano i canonici tam in Ecclesia quam extra obedire sub pœnis etiam pecuniariis ab ipso iudicandis, et sacristiæ ecclesiæ applicandis.