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cuore del suo nobilissimo Marchesato, e come fronte di questo subalpino principato.

È questa città tutta cinta di mura. Dalla decrepità degli anni rese immemorabili le sue memorie, inceneriti negl’incendi di tante guerre passate; i suoi annali spiccano assai più belli tra le tenebre dell’oblìo i lumi delle sue glorie, e resta tanto più doviziosa di splendori onorevoli quanto per l’antichità è più oscura la sua origine.

Nella schiera degl’antichi famosi istorici (dal mare de’ cui inchiostri si traggono le belle gemme delle prerogative di Ceva) si ritrova che molti per lo più coll’epiteto di nobile l’han nominata, avanti che di Città avesse il pregio.

Leandro Alberti nella sua descrizione d’Italia seguendo altri autori la nomina con quest’epiteto di nobile.

Biondo da Forlì nella sua Italia così la descrive: Superius sunt Ceva oppidum nobile, et sui Marchionatus oppida et Castella inter quas Tanarus fluvius ortum habet

D. Andrea Rossotti quantunque ignorando che Ceva goda attualmente il titolo e prerogative di Città scrive però che di ragione le si dovrebbe dare questo pregio: Ceva Marchionatus titulo illustris a qua familia nomen habet, olim potens, utpote cuius dominio centum non infimi ordinis oppida subiacebant, civitatis iure nomen obtinere posset, habitatorum numero, terreni fertilitate, et divitiis magna.»1

Monsignor Brizio nel suo Sinodo, quarta istorica, descrivendo le diverse congregazioni stabilite nella sua diocesi dopo quella di Alba parla di quella di Ceva in questi termini:

«Urbem inter priscas insignem, sed temporis voracitate corrosam qui nosce desideras Cevam inspicito, præclarissimi Marchionatus caput. Hæc Marchionum foecundissima parens pietate in deum, fide in principem commenda―

  1. Syllabus scriptorum Pedemontii etc. Monteregali typis Francisci Mariæ Gislandi MDCLXVII in 4°. In Indice patriæ.