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pabulis salem, etiam ubi non detur, ita maxime intelligitur, omni in salem caseo senescente: quales redire in musteum saporem, aceto et thymo maceratos, certum est.

Tradunt Zoroastrem in desertis caseo vixisse annis viginti, ita temperato, ut vetustatem non sentiret. »

C. Plinii Secundi Historiae mundi libri XXXVII ex postera ad vetustos codices collatione cum annotationibus et indice.

Basileæ in officina Frobeniana MDXXXIX in fol.°

Edizione di Venezia 1785 del Bettinelli. Traduzione.

In Roma dove si porta giudizio di tutti i prodotti delle nazioni si dà anche la dovuta lode al cacio; nelle provincie in Lesa e nelle altre terre del Giraudan, quello di Nimes è specialmente lodato, però sol quando è fresco. Le Alpi hanno pascoli per due generi di cacio; le Dalmatiche quello ne mandano chiamato Docleate e il paese dei Centroni il Vatusico. In maggior copia nè fornisce l’Apennino. Di Liguria vien quel di Ceva di latte massimamente di pecora: di Umbria quel di Jesi, e di là dove insieme confinano l’Etruria e la Liguria quello della Lunigiana molto rimarchevole per la sua grandezza, premendosene delle forme di mille libbre caduna. Vicino a Roma evvi il cacio Vestino, e quello riputatissimo del territorio Cevizio. È tenuto buono ancora il cacio di capra, massime quello di Agrigento cui molta grazia accresce il fumo, quale si fa in Roma stessa da doversi agli altri tutti preferire. Perciocchè quello delle Gallie per suo sapore ha virtù medicinale. Oltremare quello di Bitinia è in grandissima riputazione.

Che i pascoli abbondino di sale si conosce da ciò principalmente che ogni sorta di cacio invecchiando divien saporito, e ripiglia il sapor primitivo se tenuto in macero nell’aceto e nel timo.

Dicono che Zoroastro ne’ deserti visse per ben vent’anni di cacio, temperato in guisa che non invecchiava.

Questo cacio che ai tempi di Plinio riscuoteva gli elogi degli eroici gastronomi romani, gode anche ai nostri tempi