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questo paese, avessero quivi, come altrove ricondotta l’ignoranza, e la barbarie dei secoli più remoti. Le invasioni dei barbari, e le continove guerre, che i piccoli signori, e le nascenti Repubbliche per difendersi dagli assalti dei prepotenti, o per allargare i confini del loro territorio si facevano scambievolmente, avevano reso gli uomini più atti al mestiero delle armi, che disposti a coltivare le scienze. Quando per altro venne al mondo il nostro Dante, già i Fiorentini avevano una maggior cognizione dei buoni studj di quello che fosse per lo passato; ed il loro volgare idioma andava prendendo piede, avendo incominciato a scrivere in esso non tanto i prosatori, quanto il Poeta ser Brunetto Latini Segretario della Repubblica Fiorentina, «gran filosofo, e sommo maestro di rettorica, tanto in bene saper dire, quanto in ben dittare»1. Aveva esso a’ suoi concittadini il primo insegnato non solo la maniera di esprimere con ornato di parole le proprie idee, ma di regolare ancora secondo i precetti della politica, gli affari della loro Repubblica2, e questo ebbe pure la gloria di ammaestrare Dante, che senza fallo di gran lunga lo avanzò nel possesso delle scienze le più sublimi, e nelle poetichè facoltà3. Era Brunetto del partito Guelfo, onde nel 1260. dopo la sconfitta di Montaperto, essendo restati superiori

  1. Così lo chiama Giovanni Villani nel lib. VIII. cap. X. delle sue Storie. Egli era del Sesto di Porta del Duomo.
  2. Villani loc. cit. Tutti i nostri scrittori che parlano di Brunetto non sono parchi di lodi verso di lui, che per i suoi tempi fu certamente uomo di vaglia. Firenze per altro aveva avuto, ed aveva allora altri soggetti di qualche reputazione per il loro sapere, e sino nel 829. era Città di studio, come osserva il suddetto Bandini ove sopra, ritraendolo da un Capitolare di Lottario Imperatore e Re d’Italia pubblicato dal Muratori part. I. tom. II. rerum italicarum scriptorum, e di cui dal Muratori stesso si parla a quest’anno ne’ suoi Annali d’Italia, benchè confessi essere incerto il tempo in cui fu formato il suo Studio.
  3. Dante Cant. XV. dell’Inferno, vers. 82. e seg. ed altrove nel lib. 1. della sua Volgare Eloquenza Cap. XIII. lo riprende di aver male scritto nella lingua volgare, e certo che Dante conosceva bene quanto egli era superiore al maestro, non che agli altri scrittori del suo secolo.