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egli si credesse poco atto allo stile latino, e letterato1, ovvero che volesse andare in traccia di una più luminosa gloria col tentare di scrivere nell’idioma del volgo, cosa non peranche da niuno pensata: o che finalmente dubitasse che se di altro stile si fosse servito fuori di quello, il quale si parlava comunemente in Italia, l’opera sua potesse essere lasciata in abbandono2, mutò pensiero, ed in lingua volgare si pose a distenderla. Non è poi facil cosa il decidere in che tempo appunto Dante intraprese questo suo nobil lavoro, e quando dette al medesimo compimento. Narra Gio. Boccaccio3 che egli prima del suo esilio aveva preso a scrivere la Commedia, e che sette Canti della medesima erano terminati quando fu dalla Patria scacciato; ma tanto Maffei, quanto Raffaelli sostengono che il nostro Poeta pose mano all’opera, dopo che esule se ne stava lontano da Firenze. Di qui è che i mentovati Scrittori, e con essi il canonico Biscioni4 giudicarono una favola il racconto dello stesso Boccaccio intorno al ritrovamento de’ primi VII. Canti dell’Inferno. Dice esso5 che fra le scritture, le quali la moglie di Dante aveva nascoste, quando la plebe tumultuosamente corse a rubargli la casa, per fortuna vi erano i detti primi sette

    Opere del medesimo Boccaccio fatta in Napoli colla data di Firenze, rammenta un testo di Dante con 20. o 30. versi latini in principio a fronte del Testo volgare. Il Fontanini ne aveva un’altro, nel quale ve ne erano le centinaja (Eloq. Ital. lib. 2. cap. 13.). Non dispiacerebbe agli Eruditi che alcuno pubblicasse questo frammento latino della Commedia di Dante.

  1. Leonardo Aretino Vita di Dante.
  2. Gio. Boccaccio Vita di Dante.
  3. Nella detta Vita, e nel suo Comento stampato sopra l’VIII. Canto dell’Inferno.
  4. Nella Prefazione alle prose di Dante, e del Boccaccio pag. 8.
  5. Nel detto Comento più distintamente che nella Vita di Dante, narra il Boccaccio questo fatto, e ci assicura di averlo saputo da Andrea di Leon Poggi nipote per parte di sorella dello stesso Dante; il quale era stato quello che fra le di lui scritture cercando per ordine di Gemma Donati, trovò i detti Canti, e che gli fece vedere a messer Dino Frescobaldi.
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