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doti, a motivo delle quali la Poesia di Dante non comparisce nè languida, nè sterile, nè bassa, come lo è quella degli altri Poeti che lo precederono; ma sublime, fiorite, e piena di sentimenti. Egli diede, per così dire, la vita alla toscana favella, e senza seguire altri precetti, che quelli, che la fecondità del proprio ingegno, ed il fuoco della propria immaginazione gli suggerivano, lasciò, come Omero, molto da imitare, ma poco da inventare. I nostri Scrittori non hanno risparmiate le lodi come un tributo di riconoscenza per quel tanto, di cui erano ad esso debitori, ed il titolo di Divino1, col quale, quasi in ogni libro, vien fregiato il suo nome, poch’altri fra i profani Autori più di lui seppero meritarlo. Lo stesso Voltaire nella sua lettera sopra Dante, quantunque nel numero di quelli che non sono stati a Dante molto devoti, ha confessato nel suo Saggio d’Istoria generale, che quel bizzarro Poema,

  1. Il titolo di Divino ne’ passati tempi fu dispensato agevolmente a chiunque veniva reputato in alcun genere eccellente, siccome dimostra il P. Mariano Ruele nella Scanz. XXIII. della Biblioteca voltante del Cinelli pag. 65. e seg. Ma la troppa frequenza fece, che decadesse questo titolo da quella stima, in cui era. Ci dobbiamo per altro maravigliare che il Giornalista di Bouillon (Journal Encyclop. pour 15. avril 1764. pag. 6.) abbia osato scrivere che Dante «au de là des Alpes on l’appelle divin, parcequ’au de là des Alpes on ne comprend, ni le Dante, ni ses savans commentateurs». È singolar cosa che uno straniero voglia decidere se noi intendiamo un nostro scrittore, il quale tenghiamo per maestro della Toscana poesia; ma sarebbe anche più strano che volessimo confutare tutte le sciocchezze che in pochi versi in mezzo ad alcune verità ha lasciate uscire dalla penna questo Autore. «O primier peuple du monde, quand serez vous raisonnable? (Discours aux Welches par Antoine Vadè frêre de Guillaume, entre les contes des ce dernier, pag. 131.). Solamente per conoscere quanto egli sia giusto ne’ suoi giudizi basta soggiungere ch’egli dice ancora che i contemporanei di Dante lo riguardavano come «le plus fou des hommes, et le plus grand des poetes». La seconda proposizione è chiara, ma della prima qual riprova ne ha il giornalista? Non s’immaginerebbe poi, che in detto luogo scrive tutto questo, per inalzare sopra Dante, il Petrarca, il quale forse non averebbe meritato, se dal primo non imparava.