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di dante alighieri | 151 |
la di lui effigie rappresentano. Al suo sepolcro in Ravenna vi era una testa assai ben modellata, la quale dall’Arcivescovo di detta città fu donata al celebre Scultore Giambologna, e dopo la morte di lui essendo con molte altre cose curiose pervenuta nelle mani di Pietro Tacca suo scolare, gli fu tolta dalla Duchessa Sforza che volle di una gioja sì rara, non senza gran dispiacere di chi la possedeva, privare la nostra città1. Il Busto però di questo divino ingegno:
Che le muse lattar più ch’altri mai,
ed a cui le Toscane Lettere sono più che ad ogni altro debitrici di gran parte del loro lustro, e della loro grandezza, fu collocato sopra la Porta dello Studio Fiorentino per opera del Senatore e Cavalier Baccio Valori2, quasi per dimostrare che Firenze non si vanta di avere avuto alcun altro soggetto di Dante più famoso, e più grande nelle Lettere. Che se a lui non fu innalzato nel nostro Duomo un decoroso Deposito, come aveva pensato di far la Repubblica, almeno si volle, che la sua effigie dipinta in tela3 mostrasse ai forestieri in quale stima
- ↑ Lo racconta il Cinelli nella sua storia degli scrittori Fiorentini manoscritta nella Libreria Magliabechiana, ove parla di Dante, e dice di più che tal cosa l’aveva saputa da Lodovico Salvetti scolare del Tacca.
- ↑ Mentre era nel 1587. Console per la seconda volta all’Accademia Fiorentina (Canon. Salvini Fasti Consolari pag. 286. e seg.)
- ↑ Un tal maestro Antonio dell’Ordine di S. Francesco, il
nella Vita di Giotto), e nella Casa de’ Carducci, oggi de’ Pandolfini, fece il di lui ritratto al naturale fra quello di altri uomini famosi Andrea del Castagno (Vasari loc. cit. P. II. nella Vita di detto Andrea). A’ tempi di Leonardo Aretino miravasi l’effigie del nostro Poeta quasi nel mezzo della Chiesa di Santa Croce a mano destra «ritratta al naturale ottimamente per dipintore perfetto del tempo suo». Ma troppo lunga impresa sarebbe il numerare tutti i ritratti, che del nostro Poeta furono da eccellentissimi pennelli lavorati, giacchè pochi vi sono nella nostra città, i quali alcuno o nelle case, o nelle ville non ne conservi gelosamente. Così il medesimo Aretino nella vita di Dante dice.