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130 | memorie |
Questo accidente rese vano tutto il prognostico che nel Canto XXXIII. del Purgatorio finse Dante, che gli fosse fatto dalla sua Beatrice1, ed insieme gli fece ben conoscere, che per esso non vi era più speranza di rientrare in Firenze. È certo che le arti da lui usate per infiammar d’ira contro a’ suoi cittadini l’Imperadore, furono la cagione che di nuovo l’anno 1315. nel mese di ottobre fosse riconfermata la sua condanna dal cavalier Ranieri del già messer Zaccaria da Orvieto Vicario del Re Roberto di Napoli in Firenze2, sotto coperta di non esser comparso nel primo giudizio. Nel tempo che l’Imperatore si trovava in Italia, è probabile che Dante si ponesse a scrivere il suo famoso libro de Monarchia, nel quale prese arditamente a sostenere i diritti dell’Impero Romano.
- ↑ Vers. 34. e seg. Vedi ancora il Canto XXX. del Paradiso vers. 136. e seg. Alcuni hanno creduto che Dante nel primo passo abbia inteso di ragionare di Can Grande della Scala suo benefattore, ma combinando le parole del detto XXXIII. Canto del Purgatorio con quelle del XXX. del Paradiso si vede che non di esso, ma di Arrigo VII. parla il Poeta, che grandissima speranza aveva concepita per la venuta in Italia di questo Imperatore di veder vendicati i torti dei Ghibellini.
- ↑ Ved. sopra alla nota 54. del Capitolo X. I Fiorentini nel 1313. avevano data per anni cinque la Signoria della loro città al Re Roberto, e da essa non si liberarono prima del gennajo del 1322. perchè gli fu riconfermata per altri tre anni. (Villani lib. 9. cap. 55. e 136.)
i medesimi Religiosi per distruggere una calunnia così pregiudiciale al loro decoro, procurarono una Bolla di Gio. XXIII. ed un attestato di Gio. Re di Boemia, e figliuolo di questo Imperatore. Il di lui corpo fu portato in Pisa, città devotissima a’ suoi interessi, e gli fu data onorevol sepoltura nella Chiesa Primaziale ove tutt’ora si vede il suo sepolcro.