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dovani1 meritossi il titolo di Grande, perchè la sua Corte era un sicuro asilo per tutti coloro, i quali erano stati maltrattati dalla fortuna, e principalmente per quelle persone che o per lettere, o pel mestiero delle armi, o per singolarità in qualche arte erano divenute famose. Quivi Dante si trattenne del tempo, trattato con molta liberalità da’ due fratelli Scaligeri, e forse in Verona fece venire allora Pietro suo figliuolo, il quale non meno del padre attendeva a coltivare lo spirito coll’acquisto delle umane lettere, e della Giurisprudenza. A Dante era toccato in sorte un animo altero e sdegnoso2, e per questo poco atto a vivere nelle Corti dei gran Signori, nelle quali di rado si fa un’illustre fortuna senza servil docilità, e compiacenza ai voleri altrui. Quindi a poco a poco andò perdendo col suo costume alquanto aspro, e col suo parlar libero la grazia dei detti Scaligeri, ed insieme decadè ancora da quella dei Cortigiani. Cane lo interrogò per questo un giorno in presenza di molti, circa alla ragione perchè ai suoi fosse più grato un suo buffone sciocco e balordo, che esso, il quale era stimato sapiente: al che Dante senza riguardo rispose subito, che di ciò non conveniva che alcuno se ne meravigliasse, perchè la similitudine e l’uniformità dei costumi era quella che partoriva grazia ed amicizia3. Allo stesso Cane dedicò la terza Cantica della sua Commedia, alla quale diede forse compimento sotto l’ombra di lui.


  1. Ved. una giunta alla predetta Cronica dello Zagata loc. cit. pag. 61.
  2. Tale è il carattere che fanno di Dante tutti gli Scrittori della sua Vita; ed il vedersi che egli, benchè fosse molto obbligato agli Scaligeri, non si ritenne di censurar la condotta di Alberto loro padre nel Canto XVIII. del Purgatorio vers. 121. e seg. fa ben conoscere che ei mal sapeva frenarsi dal rampognar gli altrui difetti.
  3. Questo fatto è riportato da Francesco Petrarca nel lib. 4. Reremorab.