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DELLA UTILITÀ DELLE BIBLIOTECHE1


È stata una verità dalla sperienza di tutti i secoli confermata, che indivisibilmente unita sia la fortuna delle nazioni a quella della loro coltura; e che allora fiorenti veggansi le città quando in vigore vi si mantengono gli studii: ma questi oppressi, quelle scompariscono come se prive fossero del vivifico lume dell’astro apportatore del giorno2. Basta appena un solo sguardo alle trascorse età per convincerci, che ove neglette giacquero le cognizioni, altro non regnò che disordine, confusione, oscurità, barbarie. Assolutamente, già lo disse fra gli altri il celebre Mureto3, niuna città fiorir puote, se non se quella in cui è in vigore la cultura delle lettere: e con ragione; dappoichè allora si stima florido uno stato, quando felici sono, e per quanto più è possibile perfezionati gli uomini che lo costituiscono, nè mezzo evvi più adatto, perchè ciò si verifichi se non lo studio. Che havvi più proprio dello studio, diceva l’eloquente D’Alembert4, per renderci migliori e

  1. Articolo estratto dall’opera del Cav. Mortillaro di Palermo.
  2. Heumann. Consp. reip. liter. c. v. § LII.
  3. Vol. 4, orat. 2 pag. 45.
  4. Mélang. de litter. d’hist. et de philos. Amsterdam 1767, tom. V. pag. 497.