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del cav. di s. quintino 235

appoggiata, quanto dal minore che le sta ai fianchi, per non debilitarla di troppo verso le estremità. Senza la quale precauzione, tuttochè dettata forse da soverchio timore, quella gran mole non sarebbe giunta sicuramente così intiera fino a noi.

La base di questo colosso, scevra da ogni ornato, è un semplice parallelepipedo coperto di grandi geroglifici in ogni suo lato. Verso la metà della sua facciata di fronte, dove stava appunto altre volte il nome proprio dell’uomo rappresentato in quel simulacro, vedesi ora un incavo di forma quadrata, che, per quanto io no penso, vi fu praticato onde incastrarvi un tassello della medesima pietra, sul quale lo stesso nome dovea vedersi scritto con caratteri sacri diversi dai primi, per la ragione che ne addurrò fra poco. Di fatto il gruppo geroglifico che si scorge tuttora ben conservato nella parte inferiore del cerchietto Reale, dentro il quale era espresso quel nome, e rimasto intatto, perchè, non rappresentando esso altra cosa che un titolo d’onore, come si vedrà, poteva combinarsi con quel nome medesimo in qualunque maniera esso si fosse voluto scrivere di nuovo. Lo stesso incavo si vede pure sulla base del colosso compagno a questo che e in Roma, la qual cosa rende sempre più probabile la mia conghiettura.

È parso a taluno che questo monumento sia stato in origine destinato col suo compagno a reggere, a guisa di telamone, l’architrave di qualche grande porta: ma chi pensa così non ha posto mente che anche il grande obelisco, che sta dietro a quel simulacro, è tutto coperto di geroglifici sulla sua facciata posteriore, e che dovea perciò rimanersi isolato, affinchè quelle scritture si potessero leggere. Così appunto vedesi ora convenientemente collocato nel vasto cortile di questo regio museo.

Dopo le cose accennate finora io potrei già decidere senza tema di errare che il nostro colosso non e l’imagine nè di un sacerdote egizio, come, affidato all’altrui dire, ho inavvedutamente altrove asserito prima di averlo esaminato, nè di una divinità qualunque; ma bensì il simulacro d’un aulico Re dell’Egitto, cioè uno