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del barone vernazza 47


Al Sig. Antonio Forni. A Torino.


«Se V. s. dubita del desiderio, ch’io ho di servirla, e per questa cagione non ha voluto liberamente comandarmi quella cosa, ch’ella chiama di maggior rilievo, ha fatto torto all’amor, che le porto, del quale ha potuto vedere alcuni indizj non oscuri.

«Ma se non ha voluto imporlami, dubitando del potere, e del saper mio, del quale ha voluto prima far pruova in suggetto di minor importanza, ha in ciò operato discretamente; perciocchè io confesso di potere, e di sapere assai poco, ora particolarmente ch’io sono infermo. Nondimeno acciocchè V. s. conosca, con quanto affetto io mi muova a servirla, ho fatto subito l’impresa, che m’addomanda, la quale è un’apparenza di due Stelle erranti, la qnal si fa secondo l’opinione d’Anassagora, e di Democrito, quando elle s’avvicinano tanto, che pare che si tocchino insieme. Il motto è: Mutuus ardor. Ma se V. s. desiderasse, che s’esprimesse più particolarmente quel, ch’ella dice l’aura ardente, io non ne saprei immaginare alcun’altra più atta a significar questo suo concetto del Turbine acceso col motto Torquet, et torquetur; ovvcro Urit, et uritur. E se le pare, può, mostrarle a cotesti Signori, i quali ne fan professione, benchè a me basti, ch’ella se ne compiaccia. Baci in mio nome le mani al Sig. Marchese, ed a S. A. la quale vorrei, che vedesse una mia Impresa nuova, in cui sono due Olivi con due candelabri, e col motto: In conspectu Domini. Avrei usate più volenticri le parole Greche, le quali si leggono nell’Apocalisse di S. Giovanni al capo XI. ma non ho se non il testo Latino, perciò lascerò queste, e starò aspettando, che V. s. mi comandi. E può mandar le lettere per mezzo del Sig. Ercole Greco, ch’è molto mio amico. E le bacio le mani. Di Ferrara il 16. d’Aprile.

E prima di tutto io tengo per verisimile che il personaggio al quale ha diretta la lettera, è quello stesso Marchese Forni, il cui