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ben eguali, e se parimente fossero ben eguali tra loro le altre ventiquattro, si potrebbe sospettare non avesse forse l’artefice voluto far altro che accoppiare sopra lo stesso regolo un cubito ed un palmo, fossero queste due misure di sistema diverso, vale a dire la maggiore non multipla della minore. Ma la diseguaglianza di molte divisioni abbastanza dimostra, che dalle diverse ragioni fralle une e le altre non si può trarre veruna congettura, nè tanto meno veruna obiezione contro le congetture altrimenti tratte. Poichè il metro del Drovetti fu trovato in una tomba di Memfi, era destinato a non servir mai, epperò l’artefice avrà facilmente trascinato le divisioni, contentandosi di segnare comunque il numero delle medesime sulla totale lunghezza. Questa, ad averla giusta, non costava fatica. Ma la perfezione nell’arte del dividere le lunghezze non pare fosse propria degli antichi. Nè anche dovea cercarsi quando si trattava di formare un simbolo sepolcrale anzichè uno stromento di misura.
20. A qual segno di perfezione sia giunta in Egitto, o piuttosto a qual segno d’imperfezione vi sia rimasta l’arte degli astronomi per misurare una porzione di meridiano, lo impariamo, e con precisione sufficiente all’uopo, dalla scoperta del metro loro sessagesimale. Cessate quindi tutte le quistioni e le dubbietà sulla misura riferita dal famoso bibliotecario d’Alessandria, Eratostene, ora possiamo determinare, che l’errore fu in eccesso, poco più d’un centesimo, poco meno di undici millesimi. Di tanto adunque i primi astronomi hanno creduto la terra più grande che non è. Stando alla misura del nostro metro egizio data dal Jomard (5), l’errore sulla circonferenza sarebbe di 435200 metri decimali, ossia in sessagesimali veri, miglia 235 da 600 trabucchi, cioè da 60 per grado (h).
21. Nè di questo errore dobbiam farci meraviglia; dobbiamo anzi stupire che quegli antichi non siano andati più lungi dal vero. È naturale che l’errore sia stato in eccesso, poiché pare che supponessero quasi nello stesso meridiano Alessandria e Siene,