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del cav. di s. quintino 11


Premesse pertanto tutte le fatte osservazioni, io ne trarrò le seguenti conseguenze. Dico primieramente che assai prima ancora che l’oratore Lucio Crasso movesse a sdegno gli austeri Romani ornando egli il primo la sua privata abitazione sul Palatino con poche e piccole colonne di marmo bianco, tratte da lui con grande spesa dal monte Imete, nell’Attica, già gl’Italiani aveano in abbondanza, e lavoravano marmi statuari del proprio paese, eguali in bellezza, e più candidi degli stessi marmi della Grecia i più ricercati.

Conchiudo in secondo luogo che se gli Archeologi, nel dar giudizio sull’età e sulla patria de’ monumenti delle età passate, avessero posto maggiore studio nel distinguere le qualità de’ minerali, onde quelli erano composti, e nel rintracciarne l’origine, si sarebbe conservata all’Italia nostra la gloria di molte opere insigni dell’antica Scultura, le quali per avventura troppo leggermente furono riputate straniere, o di greco lavoro, a cagione della loro materia. Nè forse il secolo luminosissimo che scorse fra Cesare e Trajano, secolo sì fecondo di capi lavori in ogni genere di arti e di scienze, si troverebbe ora così povero e mancante di sculture nazionali.

Ma per buona sorte a molti di tali errori siamo ancora in tempo di riparare con nuovi esami, e più diligenti comparazioni, alle quali io invito tutti gli amatori della storia delle arti italiane, e della Scultura principalmente.