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del cav. di s. quintino 7

l’errore di colore i quali credettero che gli Etruschi facessero venir di Grecia i materiali che occorrevano alla loro modestissima arte statuaria. Ma la verità si è che quel popolo frugale, contento delle produzioni del proprio suolo, adoperò indistintamente ne’ suoi lavori di scarpello i minerali della provincia ch’esso abitava, senza curarsi di cercarne di più belli in lontani paesi. Si è osservato infatti che tutte le urne mortuali etrusche, le quali trovansi nel Volterrano, sono fatte con tufi, ovvero con quella pietra gessite candidissima detta volgarmente alabastro, tutta propria di quella contrada. Nel Perugino, all’incontro, sono esse di un bel travertino proprio di quel territorio; lo stesso dee dirsi di Chiusi; ed in Pisa, oltre i lodati marmi dell’attigua Mareimma, gli Etruschi scolpirono pure in quelli più ordinari del vicino monte:

Per che i Pisan veder Lucca non ponno.


e ne sono testimonio nel predetto Campo-santo i due piccoli sarcofagi etruschi segnati coi numeri XIII, e CLXXVII.

Nè diversamente praticarono per lunga eta I discepoli degli Etruschi, i Romani, finchè, divenuti signori del mondo, avvisarono di emulare nella magnificenza degli edifizi, e nella cultura delle arti il fasto e la maestria delle nazioni conquistate. Allora fu loro mestieri di avere ricorso a materiali più preziosi che l’umile pietra albana, od il rozzo travertino non erano. Allora i Romani si valsero pure dei marmi di Populonia; e furono quelli per avventura i primi marmi statuari messi in opera dai loro scultori. Ciò è così vero che spesso in Roma se ne trovano ancora de’ frammenti sparsi per quelle vie solitarie, e per que’ campi negletti che sì gran parte coprono ora di que’ celebri colli, sì superbi un tempo per la maestà delle fabbriche, e pel popolo innumerevole. Io stesso ne raccolsi altre volte non pochi, riputandoli allora di marmo pario, ma di una varietà più candida, e di più grosso impasto dell’ordinario. Per buona sorte uno di que’ pezzi rimane ancora presso di me: mi reco a dovere di presentarlo al R. Museo, con un altro di vero marmo pario, per dimostrare col fatto, e col mezzo de’