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più esatti che la fisica possiede oggidì, si giugnerà, secondo ogni probabilità, a determinare lo splendor relativo che gli astri mandano sulla terra; almeno in quelle circostanze ove l’identità degli elementi che compongono le irradiazioni è manifesta, come pare si debba ammetterlo nel confronto tra il sole e la luna, i cui rapporti d’illuminazione furono sì diversamenti valutati dagli astronomi. Gli Accademici di Parigi tentarono di avere i dati necessari alla soluzione del problema mediante il cloruro d’argento; ma questa sostanza esposta per un lungo intervallo di tempo al lume della luna raccolto da una lente d’ampie dimensioni, nell’epoca del plenilunio e per un cielo purissimo, non soffrì la menoma alterazion di colore; laddove le lastre dagherriane s’imbiancano talmente per l’influenza della luce lunare, che invece di ricorrere alla concentrazione si crede poter giugnere, con alcune precauzioni, a copiare fotograficamente il disco ingrandito della Luna, rilevando per tal guisa l’esattissima configurazione delle varie sue parti, operazione che per essere condotta a termine coi soli mezzi astronomici, richiederebbe tanto lavoro da stancare la pazienza de’ più intrepidi osservatori.

Ma per avere una prova evidente della nuova carriera di progresso che il Dagherrotipo apre alle scienze fisiche basterà citare alcune osservazioni dello stesso Dagherre.

Nella medesima giornata, e sotto un cielo perfettamente sereno, il sole ad altezze eguali sull’orizzonte non possiede la stessa potenza chimica: le prime immagini antimeridiane si compiono in minor tempo delle ultime immagini pomeridiane, ed il Dagherrotipo opera alquanto più speditamente alle sette o alle otte del mattino, che alle cinque o alle quattro del