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spazio occupati da quelli rimangono: non possiamo farne a meno, li portiamo sempre con noi, dovunque noi ci volgiamo ci accompagnano, con la loro infinità e gli altri loro attributi; e ciascuno di noi è a volta a volta il centro del suo spazio e il punto di mezzo della linea infinita del tempo ch’egli si rappresenta. Sono realtà per se stesse vuote, che non somigliano a nessun’altra, sui generis, indefinibili: sono realtà omogenee in tutte le loro parti e continue, divisibili all’infinito e infinite; e tutte le loro parti sono a dir così solidali le une delle altre, costituiscono un sistema di relazioni, e formano tutte il tempo unico e lo spazio unico, di cui i singoli tempi e i singoli spazi non sono come le specie più concrete di un genere più astratto, ma sono parti, delimitazioni più o meno arbitrarie; e tutti i punti dello spazio nelle sue tre dimensioni come tutti gl’istanti del tempo nel suo fluire perenne in tanto formano una totalità continua e omogenea in quanto sono come raccolti e tenuti insieme nell’intuizione unica che noi ne abbiamo, ed è l’illimitatezza di quest’attività sintetica della nostra intuizione che costituisce appunto l’infinità loro.

Chi riflette a questi caratteri troverà probabilmente qualche difficoltà a staccare, a dir così, da sè lo spazio e il tempo, e a considerarli come due entità sussistenti in se stesse, indipendenti dalla sua attività rappresentatrice. E se egli se l’immagina così, come due recipienti