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in tutti gl’individui conoscenti, ossia è valida per tutte le coscienze, e che diventa perciò il criterio e come la pietra di paragone per riconoscere e distinguere da essa così le apparenze illusorie come le fantasie personali di questo o quell’individuo. Questa realtà, ch’è insomma il mondo obbiettivo, è quello che Kant chiama fenomeno o connessione tra i fenomeni, o, in altro modo, contesto o trama dell’esperienza. E s’intende bene che, una volta concepito così il mondo dei fenomeni, anche le apparenze che sappiamo illusorie possono entrare a far parte di quello, quando siano considerate esse stesse obbiettivamente come fatti che si producono e di cui si ricercano le condizioni e le leggi, assegnando così a questi fatti il posto che loro compete nella nostra esperienza, un posto ben determinato e non confondibile con quello delle rappresentazioni che costituiscono la realtà effettiva degli oggetti.

Invece una cosa in se dovrebbe essere quod per se est, una realtà sussistente in se stessa, con determinazioni intrinseche a se, affatto indipendenti dalla rappresentazione che noi possiamo averne o non averne. La coscienza comune (e vedremo a suo luogo per quale e con quanta ragione) attribuisce precisamente una realtà così fetta agli oggetti dell’esperienza, e non ha il più lontano sospetto che la realtà e sussistenza delle cose in se stesse potrebbe essere diversa dalla loro realtà obbiettiva e conoscibile; identifica