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Tuttavia il Governo ed il paese vissero per qualche tempo senza grandi preoccupazioni perchè al difetto di tante cose supplivano le assidue cure e le ottime attitudini coloniali dei nostri ufficiali, che nelle amministrazioni civili e militari della Colonia ed in mille svariati servizi e destinazioni ottenevano dei risultati davvero ammirevoli.
Ma l’orizzonte della Colonia non tardò ad essere offuscato dalle nubi.
Le fecero sorgere le corrispondenze di Salimbeni, residente italiano allo Scioa, le quali descrivevano sempre più accentuato il nostro dissidio con Menelik, sia relativamente ai confini, sia relativamente all’articolo XVII del trattato d’Uccialli; le fecero addensare altre torbide notizie divulgate intorno all’Amministrazione interna della Colonia; e le resero minacciose le violente discussioni e le acerbe critiche che ne seguirono in Parlamento e fuori.
Per appianare il dissidio con Menelik nell’ottobre del 1890 fu inviato nuovamente nello Scioa il conte Antonelli, munito di lettere del nostro Re e di istruzioni del Governo, secondo le quali egli poteva cedere relativamente ai confini, ma doveva invece più che mai insistere per ottenere l’accettazione dell’articolo XVII e del conseguente protettorato dell’Italia sull’Abissinia.
Antonelli si fermò a Massaua e quivi col governatore Gandolfi concretò una nuova linea di confini da proporre al Negus (qualora persistesse nel rifiutare quella del Mareb-Belesa-Muna) limitandola ad Halai, Digsa, Gura ed
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