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quella che indubbiamente rinascerà e si farà grande nella valle del Nilo rientrata nel dominio della civiltà anglo-egiziana; se si dovesse considerare senza esagerato ottimismo, ma anche senza pessimismo preconcetto, la produttività agricola e commerciale che può sperarsi colle cure e col tempo da’ suoi terreni, e la sua suscettibilità di miglioramento, forse l’amor proprio della nostra Italia potrebbe esserne lusingato, nè vi sarebbe motivo di pentimento del passo fatto.

Tuttavia la memoria dei recenti sacrifici e disastri subiti ha prodotto nel paese un’avversione che è altrettanto ingiustificata, quanto era inopportuna l’eccessiva speranza e gli irrefrenati entusiasmi che per un lungo periodo di tempo accompagnarono i movimenti nostri di espansione coloniale.

Avviene così sempre nella vita umana di cui si scordano tanto facilmente i piaceri e le gioie, e dura invece il ricordo dei dolori e delle sventure specialmente quando a questi si connettono le sofferenze negli interessi.

Ma come degli individui, è pure dovere dei popoli forti e virili il non lasciarsi abbattere dall’avversità, ma di saperla dominare e riparare.

E per riparare ai danni già subiti non sarebbe certamente il miglior modo quello di propugnare ora, come fanno taluni, l’abbandono di una Colonia che se non è un Eldorado non è neppure un Sahara, mentre 14 anni or sono, quando l’impazienza e l’entusiasmo spronavano l’Italia alle imprese coloniali, essa avrebbe giocato quasi la sua unità per conquistare un sasso nel Mediterraneo o nel Mar Rosso.