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più avverse all’Italia è stato comprovato dal fatto che il Negus, malgrado i risultati decisivi di una vittoria, non si trovò poi in grado di aproffittarne, e fù impotente a proseguire nell’inseguimento dei vinti e nella sua marcia d’invasione nella nostra colonia, ciò che fatto subito, in quelle disastrose condizioni, e mentre che poche altre truppe sarebbero state pronte a difenderla, avrebbe cagionato l’estrema sua rovina.
Fu dunque biasimevole ed ingiusto il successivo procedere del generale Baratieri (ed egli stesso poi se ne pentì) quando nel telegramma con cui annunziava all’Italia il disastro, incolpava le nostre truppe di poco valore e di poca resistenza.
Ed invero non meritava una tale offesa quel piccolo esercito che, seguendo i suoi comandi, e tratto senza giusti criteri tattici ad una lotta cotanto disuguale, aveva lasciato, pugnando disperatamente, quasi 7000 morti sul campo di battaglia, mentre altri 1500 de’ suoi languivano tra gli spasimi e le torture di una prigionia più angosciosa che la morte, e tanti ancora affluivano ai luoghi di cura a medicare dolorosissime ferite.
Può darsi benissimo, ed è naturale, che dopo la disfatta quando le sorti erano già precipitate, quando tutti gli sforzi per la difesa riuscivano ormai vani, che lo spettacolo doloroso degli eccidi e le grida ed i gemiti dei morenti ed il pazzo e feroce infuriare dei nemici abbiano prodotto tra i superstiti dei segni di sfiducia e di scoramento giudicati erroneamente