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Sopraggiunta la sera ed un provvido acquazzone, cessarono gli estremi conati della gloriosa brigata Da Bormida e incominciava il triste esodo dei pochi superstiti, che in parte sotto Ragni si dirigevano fra mille stenti verso Zaià, ed in parte calcarono le altre vie già percorse da quelli delle brigate sorelle.

Tutto era perduto.

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L’inseguimento degli Abissini contro i superstiti del corpo d’operazione italiano non durò più di 10 o 15 chilometri; poscia questi in sul far della notte furono abbandonati a se stessi ed alle feroci rappresaglie delle popolazioni insorte e dei ribelli, per avvertire i quali furono accesi dei grandi fuochi su tutte le alture circostanti.

Mentre poi il grosso dell’esercito scioano sostava a tripudiare ed a gozzovigliare colle proprie megere sul campo di battaglia infierendo barbaramente sui caduti che eviravano e bruciavano ancora caldi e vivi, portandone in trionfo le vesti, le armi e le carni lacere e sanguinanti, altri stormi di fanti e cavalieri, unitamente ai ribelli dell’Agamè davano l’assalto alle salmerie raccolte dietro il colle di Zalà.

Quivi il maggiore Angelotti nel pomeriggio del 1.° e nella notte seguente coi pochi armati disponibili tentò bravamente di difendersi; ma tradito e abbandonato dai conducenti indigeni, che scaricando i muli fuggivano sovra di essi, ed in breve sopraffatto e