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combattenti e la maggiore parte degli ufficiali, inizia ordinatamente questo movimento per la valletta laterale ad imbuto che sale ai monti d’Esciasciò.
Sul ripido sentiero che tra massi e gradoni si inerpica dalla valletta all’aspra giogaia, preceduti dal 3° reggimento, ed inseguiti da numerose frotte nemiche aggiranti, a poco per volta si incolonnano a scaglioni tutti i reparti, difendendosi di appostamento in appostamento e contrattaccando spesso colla baionetta; ed intanto dall’alto provvidenzialmente il 4° ed il 13° battaglione resistono ancora.
Durante la salita l’artiglieria riesce ancora per due volte a prendere posizione ed a fulminare il nemico, che ormai ha compiuto il suo aggiramento da tutte le parti; ed Airaghi in coda compie prodigi di valore per coprire la ritirata; ma tutti gli sforzi sono vani.
Come belve assetate di sangue e di vendetta, le orde abissine si lanciano in massa sulle tristi pendici d’Esciasciò, e dopo aver oppresso il 13° e quasi distrutto il 4° battaglione, si avventano ai fianchi ed alla coda della vinta brigata, fulminandola da tutte le parti, investendola ad arma bianca e producendovi lo sfacelo.
Airaghi, Da Bormida, De Amicis e la maggior parte degli ufficiali muoiono da eroi sul campo; le artiglierie, orbate di graduati di serventi e di quadrupedi, divengono preda del vincitore, ed il triste spettacolo dei vani sforzi e degli efferati eccidii prostra gli animi ed affievolisce le resistenze.