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mento aggirante verso le alture di destra per minacciare l’unica via che sia rimasta di ritirata. Da Bormida, Ragni ed Airaghi tentano ogni mezzo per difendersi e romper il cerchio di fuoco che li avvolge e li bersaglia da tutte le parti, e la vallata rimbomba di scariche assordanti, di grida bellicose, e di comandi e segnali, offrendo lo strano spettacolo di un esile brigata ridotta a poco più di 3000 uomini, che resiste e tiene a bada tenacemente, efficacemente, per lungo tempo un nemico dieci volte maggiore.
Ma le condizioni si fanno sempre più critiche, e Da Bormida, sentendosi ormai isolato dalle altre brigate ed avendo perduto ogni speranza di aiuto dal comando in capo è costretto a provvedere alla ritirata. Prima però di iniziarla egli tenta uno sforzo disperato.
Mentre le truppe di Ragni ripiegano, combattendo, in basso, e mentre dall’altura a cono e dal poggio d’Esciasciò l’artiglieria, il 3° il 4° e il 13° battaglione tengono a bada il nemico loro di fronte con un fuoco formidabile, nel piano Da Bormida percorrendo tra le truppe fronteggianti verso lo sbocco della valle, le anima, le scuote, e con parole vibrate, le incuora all’assalto; quindi postosi alla loro testa, coll’elmetto in mano e colla sciabola sguainata, seguito da Airaghi, le trae impetuosamente all’assalto facendo ancora una volta ripiegare verso Adua la massa nemica.
Aprofittando allora del largo fatto. Da Bormida ordina la ritirata, e la gloriosa brigata che ha già perduto quasi metà de’ suoi