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nemiche; e Albertone, raggiante, le rincalza e si dispone già ad inseguirle sperando di essere sostenuto dall’atteso arrivo delle altre brigate; ma la sua speranza rimase delusa. Gli Abissini apostrofati dai capi e incoraggiati dalla conoscenza ormai piena delle poche forze che hanno di fronte, si rinvigoriscono e ritornano all’assalto; e mentre con oltre 10,000 uomini ritentano di sfondare la posizione del colle, da Abba Carima e dal Latzate con una altra massa quasi doppia e sostenuta dall’artiglieria della regina Taitù, irrompono improvvisamente contro l’ala sinistra della brigata indigeni, respingendola fin contro le falde del Semaiata.

Poco appresso un’altra valanga nemica di oltre 35,000 uomini, da una depressione tra i monti Gususò e Nazraui, precipita in basso dalla destra, e rovesciando l’altra ala della brigata, va a puntare verso il Raio e verso il Rebbi Arienni.

All’urto improvviso di tante forze, la brigata indigeni oppone un’accanita resistenza tirando a salve ed a mitraglia e contrattaccando con spessi assalti alla baionetta; ma in questa lotta disperata subisce grandi perdite che cominciano a produrre qualche disgregamento e sbandamento tra le file. Il 7° e l’8° battaglione resistono ancora fin verso le ore 11, ma poscia, avendo perduti quasi tutti gli ufficiali, sono sopraffatti e travolti dall’immensa fiumana che li avvolge; lo stesso fa il 6.° battaglione qualche minuto dopo; l’artiglieria invece non vuol saperne di ritirata. Essa continua il suo fuoco micidiale finché i 14 pezzi hanno esaurito