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ragioni che furono svolte la sera del 28 febbraio in una riunione che il prefato Generale tenne coi quattro generali comandanti di brigata, presente il capo di stato maggiore colonnello Valenzano. Premetto che durante la mia permanenza al campo, il generale Baratieri aveva già due altre volte ricevuto i suddetti generali per intrattenerli sulle grandi difficoltà che si incontravano nel servizio di vettovagliamento e per accennare alla possibilità che venisse ordinata una ritirata su qualche posizione più prossima alle fonti del vettovagliamento ed aveva dichiarato che la riunione non era un consiglio di guerra ma bensì una discussione con scambi di idee, dopo la quale egli, che solo aveva la responsabilità di tutto, avrebbe preso le sue decisioni.
«La sera del 28 febbraio, poco dopo le ore diciasette, fu tenuta la riunione cui ho sopra accennato. Il generale Baratieri espose che il servizio viveri era assicurato fino al giorno 2 marzo, o tutt’al più fino al giorno successivo, dopo il quale non potevasi più sperare in modo assoluto di poter provvedere all’alimentazione della truppa: che perciò si imponeva la necessità di un provvedimento, il quale poteva essere una ritirata verso la conca di Senafè, od anche ad Adi Cajè, se pure nell’effettuare la ritirata non si presentava la convenienza di retrocedere addirittura sino all’Asmara.
«Prese allora per primo la parola il generale Dabormida, il quale esclamò: «Ritirarsi mai!» e convalidò la sua opinione con le seguenti tre ragioni essenziali: Primo che in Italia non si sarebbe compreso una ritirata perchè il Paese avrebbe preferito perdere in una battaglia due o tremila uomini piuttosto che andar incontro ad una ritirata che le sarebbe parsa disonorevole; secondo che la ritirata avrebbe straordinariamente depresso il morale dei nostri soldati, con conseguenze gravissime per non dire fatali; terzo che il nemico, sempre bene al corrente dei fatti nostri, assai più numeroso di noi, e più celere nella marcia che le nostre truppe bianche, non avrebbe mancato di attaccarci in marcia in quel giorno ed in quel luogo che gli fosse parso utile, e che perciò noi ci saremmo trovati costretti a combattere nelle condizioni più sfavorevoli, attesa la natura del terreno che ci avrebbe costretto ad un enorme allungamento della nostra colonna. Finì quindi per concludere che era preferibile muovere all’attacco.
«Il generale Albertone, che prese dopo la parola, espresse lo stesso parere del generale Da Bormida ripetendo ragioni analoghe ed aggiungendo che dalle informazioni di indigeni