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Le condizioni d’armamento e di munizionamento erano le migliori che l’esercito abissino avesse mai avuto: fucili quasi tutti a retrocarica e buoni, di modello Gras, Lebel e Martini; moltissimi Remington; cannoni a tiro rapido di recentissimo tipo condotti in Abissinia dal famoso Chefneux, e che vincevano in portata e perfezione, come si vide a Makallè, quelli italiani.

Oltre all’immenso numero di fucilieri, cavalieri, artiglieri, non si teme d’esagerare affermando che seguivano l’esercito non meno di altre ventimila persone armate di sole lancie e di scudi, ed anche disarmati, pronte a sostituire i vuoti nelle file durante la battaglia, e nei campi e nelle marcie dedicate assieme alle donne ed ai fanciulli ai servizi di vettovagliamento, ai trasporti dei bagagli ed a condurre le salmerie.

Era insomma uno dei più grandi eserciti che l’Abissinia abbia mai messo insieme, e ciò si giustifica dalla sua più grande e completa unione politica raggiunta.

Ma le condizioni del vettovagliamento per un ammasso di tante genti che stavano riunite da sì lungo tempo si erano fatte forse più critiche che per gli italiani. Esaurite le provviste portate per obbligo dai soldati, e quelle requisite dai capi, e le grandi carovane di vettovaglie e di bestiame condotte dal Negus e preparate coi sanguinosi zemeccià tra i Galla ed i Wollamo, gli Abissini per provvedere al loro sostentamento erano costretti a continue razzie che desolavano il Tigrè e ne avevano ormai esaurito ogni risorsa.