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per l’attesa di una battaglia aveva finito per stancare gli animi; che il repentino spostamento da Adagamus a Mai Gabetà, a Tucuz e a Saurià e le conseguenti rinnovazioni di trincee, di muri a secco, di zeribe e di altri lavori di fortificazione provvisoria, avevano generato la sfiducia e sollevato il dubbio della inutilità di ogni sforzo e di ogni precauzione, facendo giudicare il tutto alla stregua di una faticosissima manovra di campagna.

Nè si può tacere che, per sfortuna d’Italia si erano pronunciate nel corpo d’operazione due correnti contrarie, generate dal dualismo tra i generali Baratieri ed Arimondi, le quali riuscirono tutt’altro che giovevoli alla disciplina ed all’unità di comando cotanto necessarie nelle operazioni di guerra1.

Tuttavia malgrado questi coefficenti negativi che accompagnavano la costituzione ed il funzionamento del corpo d’operazione italiano, la gran massa era tutt’altro che cattiva; l’affiatamento tra superiori ed inferiori aumentava ogni giorno più ed accennava a diventare perfetto; le privazioni ed i disagi erano sopportati senza gravi lamenti, l’indole buona del soldato italiano trionfava delle difficoltà d’ogni specie, e lo rendeva fermo, disciplinato, affettuoso, concorde.

La preoccupazione più grave era quella



  1. Fa pena il leggere certe frasi come quelle che il capitano Menarini nella sua splendida narrazione: La Brigata Da Bormida alla battaglia d’Adua, riporta come pronunciate dal generale Arimondi intorno alla condotta della guerra: «Questo è l’onanismo dell’arte militare»; e non pena minore fanno certe tirate contenute nel memoriale del capitano Bassi.