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Ed invero le sue condizioni s’erano fatte assai gravi. Benchè fin dal principio fossero stati cacciati dal forte, quasi tutti i quadrupedi per risparmio d’acqua, questa cominciava a mancare, e tutti i tentativi fatti nell’interno per trovarne erano andati falliti; le artiglierie avevano subito gravi danni, le opere di difesa erano deteriorate; tra morti e feriti erano diminuiti di un centinaio i difensori; all’infermeria giacevano altri 130 feriti reduci da Amba Alagi; cominciavano a scarseggiare le vettovaglie e le munizioni, ed il nemico ingrossava sempre più per l’arrivo del Re del Goggiam e di altri capi abissini, che facevano elevare l’esercito scioano a più di 100,000 uomini.
In queste tristissime condizioni del presidio di Makallè, Baratieri avrebbe voluto accorrere a liberarlo come era nei voti e nei desideri delle truppe e del Governo, come anelava l’opinione pubblica estremamente commossa dalla sorti di quel battaglione e del suo capo, divenuto l’eroe più popolare della guerra d’Africa; ma non ebbe forza sufficiente per tentare una tale operazione.
Tuttavia, per trovarsi a portata di un colpo di mano e pronto a sostenere un tentativo d’uscita di Galliano dal forte, l’11 gennaio, subito dopo l’arrivo in Adigrat dei primi battaglioni spediti dall’Italia, dispose perchè gli indigeni, affidati al comando del colonnello Albertone, e forti di circa 8000 fucili, avanzassero fino ad Adagamus ad una tappa da Adigrat, spingendo le bande fino a Mai Meghelta a 15 km. più a sud. Malgrado però tale