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di nominare Venezia, salutano del nome di magnanimo, l’uomo che s’ostina a toglierci il nostro, e ch’essi, in core, credono tristo e calcolatore: professano, materialisti nell’anima, venerazione e sommissione di credenti al Papa, che sprezzano, impongono la cappa di piombo dell’ipocrisia a una gente fervida, immaginosa, piú che ogni altra accessibile all’entusiasmo, invocano a rifare un popolo gli artiflcii politici che lo misero in fondo; sostituiscono alla fede di Dante la disperazione di Machiavelli: e mentre dovrebbero far dire all’Europa: sovo potenti, rispettiamoli, s’adoprano a mercare colle concessioni e l’inerzia l’ironica lode: sono pazienti, serbiamoli tali. Cosi, non paghi d’ indugiare e guastare il presente, attossicano per quanto è in essi, le sorgenti dell’avvenire: perché un popolo che non s’ educa a coscienza di sé e della propria missione, all’orgoglio del suo Diritto, alla volontá irrevocabile di rovesciare ogni ostacolo e all’ardita testimonianza a prò’ del Giusto e del Vero, può scrivere libertá sulla bandiera e in fronte alle leggi, ma non sará libero mai né onorato, amato, temuto.
lo non accuso quei ch’oggi governano, di tradimento o d’ immoralitá calcolata: sono inetti e moralmente codardi. Io li accuso di dimenticare che il popolo d’Italia è per numero, doti ingenite, memorie di forti fatti e capacitá provata di rinnovarli, tale da non dover temere d’ alcun nemico — li accuso di dimenticare che, se la Francia scaduta esercita tuttora sugli animi quel prestigio al quale essi servono da pusillanimi, lo conquistò sfidando, pet bocca de" suoi migliori ogni minaccia straniera, quando era popolo di 25 milioni, male armato, e diviso tra fazioni interne piú assai che l’Italia non è — li accuso