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Ho detto che non esiste oggi concordia: ed è vero. E prima condizione per ottenerla è convincersi ch’oggi non è. Un Governo che s’illudesse a credere in essa, perché un certo numero d’uomini appartenenti all’Italia officiale è presto a votare per esso nel Parlamento, trascinerebbe a lenta, ma infallibile rovina, se stesso e il paese. Lascio che, mercè l’ingiustizia delle condizioni censuarie elettorali — ingiustizia pivi grave dove fu chiamato il popolo a eleggersi un re — l’Italia non è veramente rappresentata in oggi dal Parlamento. Ma ricordo ai futuri ministri che le rivoluzioni ebbero sempre luogo contro una maggioranza parlamentare, anzi furono provocate da essa. I popoli ricorrono a quei tremendi rimedii quando appunto la servile identificazione del Parlamento col Governo toglie ad essi la speranza del progresso, ch’è la loro-legge di vita. E inoltre, l’Italia non è oggi in condizioni normali. L’ Italia è in condizioni di guerra; in condizioni, non di lento, pacifico, regolare sviluppo, ma d’un progresso che deve compirsi di getto, per subite scosse, con sagrifícii straordinarii e sulla via deíV azione. In condizioni siffatte, V iniziativa non risiede nel Parlamento, ma nel popolo che pericola e gli freme intorno: risiede nelle insurrezioni che scoppiano imprevedute quanto al tempo, ma che sono additate inevitabili dalle aspirazioni collettive, dai bisogni del paese, dall’intento verso cui s’affatica: risiede negli uomini capaci d’azione estralegale, di partiti estremi, di subiti moti. Dove questi uomini, dove il popolo intero, guardano con fiducia nei guidatori e non chiedono, non s’agitano, ma seguono tranquilli e lieti, è concordia; dove il voto parlamentare è deposto mutamente nell’urne, senz’eco di plauso nelle moltitudini, la concordia non è.