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Due gravi piaghe tornieutarono l’isola: il feadalisino e il sacerdozio. I feudi, funesti all’Isola sotto la Spagna, piú funesti sotto la dominazione di Casa Savoia, durarono, strano a dirsi. Ano al 1836. Fino a quell’anno, il contadino sardo sottomesso dall’etá di diciotto anni alla giurisdizione di fatto, varia a seconda dei luoghi e delle investiture, di circa trecento settanta fra duchi, marchesi, conti, baroni o agenti di questi, dacché metá dei feudi apparteneva ai signori spagnuoli assenti, languiva nella miseria, per decime e prestazioni feudali d’ ogni sorta, senza aJQfetto al terreno ch’ei coltivava, e senza dignitá d’ individuo. Carlo Alberto decretò in quell’anno 1" aiífrancauiento del suolo e l’emancipazione del contadino. Ma la riforma, ottima in sé, fu guasta nell’api)licazioiie. I feudatari furono, nella determinazione dell’indennitá, sistematicamente vantaggiati, i Comuni sagrifícati. La giunta locata in Cagliari per definire quelle vertenze voleva il giusto e decideva coi documenti delle investiture alla mano. Ma il re concedeva la revisione delle lagnanze degli avidi feudatari in Torino, e in Torino i feudatári trovavano Jivvocati, protettori, influenze di corte: ai Comuni non era neanche concessa la scelta d’un patrocinatore, e l’avv. Fiscale Regio era destinato a rappresentarli. Le indennitá furono quindi esagerate. E vi fu caso in cui il re stesso aumentò, per autoritá propria, le rendite assegnate dalla sentenza del tribunale supremo. Prima dell’abolizione, i tributi feudali si pagavano in natura, e talora il feudatario, buono e commosso dalle angustie del contadino, condonava il tributo. Dopo, il governo sottentrando ai diritti dei feudatari, esigeva inesorabilmente il tributo in da-