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Respinto lo straniero, il Governo che non temeva piú, cominciò a sentirsi libero di mostrarsi ingrato, e si mostrò tale in modo imprndente davvero. Gli uomini che avevano salvato il paese dall’invasione furono negletti, sprezzati. Il Governo aveva sulle prime chiesto al popolo Sardo d’esprimere i suoi desiderii: e furono inviate solennemente a Torino dai tre Ordini o Stamenti delP isola, cinque domande, due delle quali — ristabilimento delle corti o parlamenti decennali e conferimento degli uffici agli indigeni — erano vitali. (^) In margine alla seconda il Graneri scriveva: solite ripetizioni: l’uua e l’altra erano ricusate e con insolenza di modi, dacché il lifiuto. mandato direttamente al vice-re, non era comunicato agli inviati clie aspettavano risposta in Torino. E nell’isola, gli impiegati piemontesi beffeggiavano ) Sardi, e canzoni villane contro essi si cantavano alla mensa del vice re. Le cose andarono tanto oltre, che, mancata la pazienza ai Sardi, una sollevazione di popolo costrinse vice-re e piemontesi, quanti erano a imbarcarsi, il 7 maggio 1794, pel continente. risj)ettando gelosamente persone e sostanze. Il Governo non dimenticò mai quella vittoria e diresti ne durasse tuttavia la vendetta. Poco bene fu tentato nell’ultimo mezzo secolo dal Governo in Sardegna, e quel poco vi fu guasto dall’arbitrio di chi doveva amministrarlo. (*) Le circostanze speciali dell’isola, facevano la distribuzione degli uftici ai pieinoutesi piú che altrove dannosa. Gran parte della ricchezza sarda andava nella Spagna i cui signori possedevano due terzi delle terre: parte si versava in Koina per le cose ecclesiastiche, parte in Torino per lo spaccio delle faccende ))iú importanti che yí si avocavano. Mazzini, Scritti, ecc.. voi. LXIX (Politica, voi. XXIV). H