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solito, la Sardegna in cambio della Sicilia. E diresti che la ripuguaaza. colla quale egli accettò quella terra in doiiiiuio, si perpetuasse, aumentaudo, attraverso la dinastia. Il regno di Carlo Emanuele III, successore di Vittorio Amedeo, fu il solo largo di buone intenzioni e anche d’opere. L’amministrazione della giustizia, quella delle pubbliche entrate, e gli studii. ebbero dal ministro, conte Bogino, miglioramenti. E nondimeno la dilBdenza posta fra il Piemonte e la Sardegna era, flu d’allora, tale che il miglior ministro della monarchia avvertiva il vicere di mettere ostacoli alla propagazione dei gelsi, per timore di concorrenza alle sete del Piemonte, e raccomandava al re di non abbellire soverchiamente la sposa, perché altri non se ne invaghisse. Vittorio Amedeo III cominciò, licenziando il Bogino, quel moto d* indietreggiamento che non s’ inteiruppe piú mai. Tornavano le coadiutorie dei beneficii ecclesiastici, tornava l’arbitrio nella distribuzione delle pensioni ai teologi, tornava la vendita dei diplomi cavallereschi, tornavano gli indugi e le dimenticanze nella spedizione degli affari, e s’ iniziava lo scandalo, che poi diventò sistema, di versare negli uffíeii secondari della Sardegna il rifiuto del Piemonte, i giovani di famiglie patrizie, ai quali una condotta colpevole contendeva impiego nelle provincie continentali; e mi toccherá riparlarne. L’isola diventò, da quel Kegno. nel concetto dei chiamati ad amministrarla, una spugna da premersi per cavarne lucro, un campo d’esazioni e di traffichi disonesti, che riducevano a nulla le intenzioni, talora buone, del re. Nella carestia che afflisse la Sardegna tra il 1780 e il 1799, un conte Lascaris, ministro avveduto, ma immorale, faceva moneta intendendosi con ladri incettatoli di