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non intendemmo che la libertà d’un popolo non può vincere e durare se non nella fede che dichiara il diritto di tutti alla libertà: e che liberi tutti ci saremmo facilmente intesi, nello spirito d’amore della vita nuova, intorno alle poche questioni territoriali che pendono dubbie tuttora. Scegliemmo il nostro punto di mossa per giudicarle non nell’avvenire, ma nel passato. Mutammo in gretto nazionalismo il sacro principio della Nazionalità. Smembrammo le forze. Ci isolammo nella battaglia. I padroni collegati poterono combatterci ad uno ad uno: e vinsero — e ci derisero.

Oggi minacciati dagli stessi pericoli, ritentano la stessa via. Ricadremo noi negli stessi errori?

Quale è in oggi, sommariamente, la condizione d’Europa?

Da un lato stiam noi, uomini della Libertà e dell’Associazione, convinti per lunga esperienza che né libertà né associazione possono impiantarsi e mantenersi durevoli in uno o in altro angolo dell’Europa se non fortificate e protette all’intorno da popoli viventi di vita omogenea, convinti che nessuna evoluzione continua e pacifica delle facoltà e delle forze dell’Umanità sulla via del progresso comune può aver luogo se prima il lavoro non è diviso e ripartito a seconda delle naturali capacità: se alla distribuzione arbitraria dei popoli in virtú della conquista o del preteso diritto delle famiglie regie non sottentra un nuovo riparto fondato sulle condizioni geografiche, sulla lingua, sulle tradizioni. Per Nazionalità noi non intendiamo — e non dovrei ripeterlo ad uomini di pensiero come sono i vostri fratelli di Patria — se non l’organizzazione del lavoro dell’Umanità, della quale i Popoli sono gli individui.